sabato 20 aprile 2013

Psicopatologia di un partito

Dei morti bisognerebbe parlare solo bene, ma in questo caso non è possibile, almeno se vogliamo provare ad imparare dagli errori, e mi riferisco agli elettori, non agli eletti.
Cosa "fa" un partito? Servono un'idea forte o una forte leadership, e l'ideale è che ci siano entrambe (come il PCI dei tempi di ferro, tanto per dire), e il Piddì non ha avuto nessuna delle due, fin dall'inizio.
Taciamo qui del peccato originale, l'omicidio del padre che ne ha segnato la nascita, quando fece cadere un validissimo governo di centrosinistra, litigioso ma che aveva avviato un bel percorso di riforme e risanamento economico; ma il Piddì è nato come strumento di occupazione e di divisione del potere tra reduci del PCI e lacerti della DC, e dal potere, per una sorta di maledizione, è sempre stato lontano, dovendosi accontentare di quello locale.
Una simile Armata Brancaleone alla fine, messo solo un piede sulla soglia del potere, ha fatto quello che ci si poteva, essendo appena attenti, tranquillamente aspettare, cioè si è tranquillamente dilaniata per regolare i conti al proprio interno, e qui non parliamo della non-vittoria alle elezioni; tra l'altro, meno male, col senno del poi, che non ce l'hanno fatta, altrimenti saremmo stati per cinque anni in mano a dei dilettanti allo sbaraglio.

No, il regolamento di conti nasce proprio dalla torta da spartire, improvvisamente apparsa meno grande e appetitosa di quella che ci si aspettava, ed è qui che la leadership ha fallito.
Adesso, quella mediocre classe dirigente che non voleva governare le macerie dell'Italia contempla le macerie del partito che non c'è mai stato ed ha condannato un terzo abbondante degli elettori e restare senza rappresentanza politica per i prossimi vent'anni: davvero, come pensate che andranno a finire, tanto per fare un esempio, le regionali in Friuli e le comunali a Roma?

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